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Comunicato stampa

Foggia, 11 marzo 2005

 

 

“Attività estrattive, quale futuro?”: ad Apricena convegno della FILLEA su competitività e sicurezza del settore lapideo

 

Domenica 13 marzo, dalle ore 9.30, presso l’Auditorum dell’ex Consorzio Agrario, dibattito sul futuro di un settore che in Capitanata conta circa mille addetti e produce annualmente circa 100mila metri cubi di blocchi di marmo nel bacino di Apricena-Lesina-Poggio Imperiale. Chiuderà i lavori il segretario nazionale della FILLEA, Franco Martini

 

 

 

“Approfondire le problematiche relative allo sviluppo e alla riqualificazione del settore, alla salvaguardia dell’occupazione e dell’ambiente, ai livelli di sicurezza e salute dei lavoratori”. Tutto queste, nelle parole del segretario generale della FILLEA CGIL di Capitanata, Michele Lunetta, sarà “Attività estrattive – Quale futuro?”, il convegno organizzato dalla federazione provinciale dei lavoratori edili e patrocinato dal Comune di Apricena, che si terrà domenica 13 marzo, a partire dalle ore 9.30, presso l’auditorium dell’ex Consorzio Agrario nel centro dell’Alto Tavoliere.

 

Il convegno

Sarà ricco il parterre dei relatori che interverranno all’iniziativa fortemente voluta dalla FILLEA CGIL di Capitanata: dopo la relazione del segretario generale provinciale, Michele Lunetta, seguiranno i saluti dei sindaci di Apricena, Lesina e Poggio Imperiale, rispettivamente Vito Zuccarino, Giovanni Schiavone e Rocco Lentini. Previsti gli interventi di Nicola Affatato, segretario generale della CGIL di Foggia; Michele Dassisti, docente del Politecnico di Bari; Nicola Biscotti, presidente dell’Assindustria di Capitanata; Franco Parisi, vice presidente della Provincia di Foggia; Michele Schiavone, presidente della Confai foggiana. A chiudere i lavori sarà il segretario generale nazionale della FILLEA CGIL, Franco Martini.

 

Il bacino marmifero in Capitanata

“Crediamo che la ricerca di sicurezza e competitività per il settore lapideo –spiega Lunetta- rappresenti un obiettivo comune per imprenditori, lavoratori, forze sociali, amministrazioni pubbliche”. E il convegno non poteva non svolgersi ad Apricena, “in per questo bacino marmifero, in cui rientrano i territori di Lesina e Poggio Imperiale, l’estrazione e la lavorazione del marmo rappresenta da sempre una delle principali fonti di occupazione, cultura, tradizione e storia. Ma anche perché qui si estrae il prodotto più pregiato della Puglia, oltre alle maggiori quantità. E perché qui è forte la contraddizione tra tutela dell’ambiente e sviluppo produttivo”.

 

I numeri del settore

Sono circa 600 le imprese del settore lapideo iscritte alle Camere di Commercio in Puglia e si calcola che complessivamente gli addetti al settore, compresi i lavoratori delle segherie e degli stabilimenti di lavorazione, siano circa 6mila, con un fatturato complessivo, compreso l’indotto, di 1,3 miliardi di euro. In provincia di Foggia gli occupati nel settore lapideo sono circa mille, in maggioranza concentrati nel bacino marmifero di Apricena. Un comparto che registra in Capitanata un alto tasso di lavoro nero che coinvolge in particolar modo lavoratori immigrati, spesso clandestini e quindi facilmente ricattabili sul versante del rispetto dei diritti. Ad Apricena, la superficie dell’area più intensamente interessata dallo sfruttamento dei giacimenti marmiferi si estende su 250 ettari. Il livello di produzione annua, secondo stime basate sulla produzione media giornaliera per un totale di 200 giornate lavorative, si attesta tra gli 80mila e i 100mila metri cubi di blocchi di marmo.

 

 

Sviluppo imprenditoriale e salvaguardia dell’ambiente

“E’ ancora forte, in provincia di Foggia, il fenomeno della frammentazione in più imprese dei pochi gruppi imprenditoriali che operano nel bacino marmifero dell’Alto Tavoliere –denuncia il segretario della FILLEA CGIL di Foggia, Michele Lunetta-. Una frammentazione giustificata con la necessità sia di avere maggiore flessibilità organizzativa sia di evitare l’applicazione di normative più restrittive in tema di diritti  tutela del lavoro. In generale prevalgono a livello giuridico le imprese individuali, circa il 54 per cento del totale; vi sono solo 2 impresse cooperative e un solo consorzio, il Con pietra. I risultati che si riscontrano, di contro, ci parlano di una diretta correlazione tra dimensione aziendale, livello tecnologico e tasso di capitalizzazione dell’impresa”. Riguardo agli aspetti ambientali, “negli ultimi tempi si vanno sempre più imponendo all’attenzione dell’opinione pubblica i problemi legati al dissesto che le attività estrattive determinano sugli equilibri ecologici. Noi crediamo che questi segnali non vanno rimossi e nemmeno enfatizzati, ma assunti nella giusta dimensione per instaurare un giusto rapporto tra occupazione e produzione del reddito e presa di coscienza di un territorio bene comune da difendere”.

 

Il settore in attesa di una legge

Per coniugare sviluppo delle attività estrattive e salvaguardia del territorio, afferma Lunetta, “è indispensabile avere un quadro legislativo regionale che dia certezze e consenta alle imprese di programmare. In Puglia, per colpa dei ritardi della Regione, queste certezze non ci sono, anzi c’è un caos legislativo che rischia di bloccare il settore. Serve allora una legge che disciplini le attività estrattive, introduca il concetto di polo estrattivo e di lavorazione; favorisca il recupero ambientale delle aree estrattive dimesse; incentivi la ricerca e il riutilizzo dei materiali derivanti dalle demolizioni, restauri, ristrutturazioni, privilegiando i siti che svolgano proprio queste attività di riutilizzo”. Infine, per la FILLEA CGIL, “in questo quadro normativo, le autorizzazioni per l’attività di coltivazione o ampliamento dei siti devono essere rilasciate dai Comuni, che dovrà poi svolgere la sua azione conformemente a quanto previsto dal Piano Regionale delle Attività Estrattive (PRAE). Ma, ad oggi, in Puglia non esiste nemmeno un PRAE. Una mancanza di attenzione da parte della Regione che rischia di mettere seriamente a rischio il settore in tutta la Puglia, con quel che ne consegue in termini occupazionali e di gestione del territorio”.

 

 

 

 

 

Ufficio Stampa e Comunicazione

Lello Saracino

Cell. 338.4504242

mail: ufficiostampa@cgilfoggia.it

 

 

Relazione del Segretario Generale Fillea di Foggia, Michele Lunetta

ATTIVITA’ ESTRATTIVE – QUALE FUTURO?

 

Vorrei innanzi tutto ringraziare, a nome dell’Organizzazione Sindacale che rappresento, quanti hanno ritenuto di partecipare all’iniziativa di questa mattina.

Vorrei inoltre ringraziare i gentili ospiti che sicuramente daranno un contributo importante al dibattito sul futuro dell’Attività Estrattive in Puglia ed in particolar modo sul futuro del settore Lapideo in provincia di Foggia.

E’ nostra intenzione affrontare ed approfondire le problematiche relative allo sviluppo e alla riqualificazione del settore, la salvaguardia dell’occupazione e dell’ambiente, e più elevati livelli di sicurezza e salute dei lavoratori.

Riteniamo che questi debbano essere obiettivi comuni degli imprenditori, dei lavoratori, delle forze sociali e dei rappresentanti degli Enti Locali, quali Comuni, Provincia e Regione.

Abbiamo scelto di svolgere questa iniziativa in questo luogo:

in quanto per il bacino marmifero, composto da Apricena, Lesina e Poggio Imperiale, a parte l’agricoltura, l’estrazione e lavorazione del marmo, rappresenta da sempre la principale fonte di occupazione, cultura, tradizione e storia;

perché qui si estrae il prodotto più pregiato della Puglia, oltre alle maggiori quantità;

perché qui è più forte la contraddizione Ambiente-Sviluppo produttivo del settore.

Le attività estrattive rivestono un ruolo di importanza notevole all’interno del panorama economico regionale e nazionale.

Gli inerti costituiscono infatti la materia prima principale dell’industria delle costruzioni, settore che rappresenta il 6% del PIL, che diventa del 13% tenendo conto anche dell’indotto, con notevoli ricadute occupazionali, circa il 7% dell’occupazione nazionale.

I materiali per usi industriali rivestono anch’essi notevole importanza nel panorama economico regionale e nazionale. In Puglia questa tipologia è rappresentata da calcari per cemento e calce, da argille, da sabbie silicee e da gessi.

Le cave di materiali per usi industriali sono strettamente connesse a stabilimenti di trasformazione rappresentati da cementifici, fornaci per calce e per laterizi e da strutture per la lavorazione del gesso.

Per quanto riguarda le pietre ornamentali, oltre al peso economico ed alla posizione di grande competitività del nostro paese a livello mondiale va aggiunto l’indubbio significato culturale per la salvaguardia del patrimonio storico, artistico ed architettonico.

Per ben tre delle cinque province in Puglia, a cominciare dal Gargano, passando per le Murge e terminando con il Salento, la natura geologica è la stessa, ed è costituita da una potente serie di rocce di formazione calcarea.

L’attività di estrazione non è diffusa in maniera omogenea in tutto il territorio pugliese; se si considerano le cave attive s’individuano, per ogni provincia, zone ad alta distribuzione ognuna con tipiche coltivazioni:

Trani per la provincia di Bari (calcare, "Pietra di Trani" e "marmi" utilizzati a scopo ornamentale, rivestimenti interni ed esterni, pavimentazioni); con attività di estrazione estremamente limitata da anni Cursi e Melpignano per la provincia di Lecce (calcarenite nota come "Pietra Leccese", utilizzata per lavori artistici e di restauro); Ginosa per Taranto (sabbie e ghiaie per l’industria edile); Apricena , Lesina e Poggio Imperiale per Foggia (calcare utilizzato a scopo ornamentale) e da alcuni anni anche nella frantumazione dei frantoi.

 

In questa nostra iniziativa, l’analisi si soffermerà essenzialmente sull’industria dell’estrazione e lavorazione del marmo.

L’Italia è tra i  maggiori produttori insieme a Cina, India, Spagna e Portogallo, insieme hanno espresso da soli il 54% dell’estrazione mondiale nel 2003.

L’Unione europea esprime il 65% dell’export mondiale ed evidenzia la sua leadership in tutte le categorie merceologiche: segheria e taglio, levigatura e lucidatura, finitura. Globalmente le esportazioni Ue sono salite da circa 67mila a 87mila tonnellate.

E’ aumentato anche l’import comunitario, + 16.5%, con la Spagna a fare la parte del leone, seguita da Francia e Germania. Un ruolo sempre più importante verrà giocato da Paesi come Cina, India, Turchia e Brasile, la cui forza produttiva si assocerà sempre più ad una solida capacità distributiva. Contemporaneamente rimarrà una buona propensione all’acquisto da parte dei grandi consumatori internazionali, in primis Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone, sia nel comparto lapideo che marmomeccanico.

L’Italia ha consolidato la sua posizione, incrementando la quota dal 73.1 al 78.3% del mercato.

Buone performance si registrano per il marmo a blocchi e a lastre, per granulati e polveri e per il granito lavorato.

Continua invece l’andamento negativo per il granito a blocchi e lastre (oltre l’8% di calo). Prova ne è la crisi poliennale del Comparto Sardo.

In questo quadro generale per quanto riguarda la Puglia, la situazione dell’industria dei materiali lapidei si presenta di non facile lettura, data l’assenza di un Osservatorio specifico nel settore e la carenza e difficoltà di accesso ai non abbondanti dati di produzione e destinazione del prodotto disponibile.

Dalle ricerche fatte ci risulta attualmente che sono circa 600 le imprese del settore del lapideo iscritte alle Camere di Commercio in Puglia e si calcola che complessivamente gli addetti al settore, compresi quelli di segherie e stabilimenti di lavorazione, siano circa 6mila con fatturato complessivo, compreso l’indotto, di circa 1,3 miliardi di euro, cifra stimata per difetto.

Per quanto riguarda la nostra provincia le realtà produttive della Pietra di Apricena, nonostante la loro apparente marginalità, assumono non solo un grosso peso nella debole economia locale ma incidono significativamente anche sulla produzione nazionale del settore del Lapideo.

Lo sfruttamento intensivo dei giacimenti lapidei ad Apricena è iniziato nell’immediato dopoguerra a seguito dello sviluppo del settore edilizio determinato dalla ricostruzione postbellica. La crescita del comparto è stata però possibile grazie all’operare di una serie di fattori specificamente locali quali la morfologia del luogo che ha consentito nella fase iniziale l’estrazione con l’impiego di tecniche semplici e lavoro intensivo, la possibilità di acquisire a costo pressoché nullo i terreni appartenenti all’Ente di Sviluppo di Puglia, Lucania e Molise, l’esistenza di una banca cooperativa, la Banca Popolare di Apricena, che ha permesso agli imprenditori locali di disporre dei capitali necessari per avviare le attività.

La superficie dell’area interessata più direttamente dall’esistenza di giacimenti del bacino marmifero di Apricena è estesa di oltre 1500 ha. Il livello di produzione annua secondo stime basate sulla produzione media giornaliera per un totale di 200 giornate lavorative si attesta tra gli 80.000 e i 100.000 mc di blocchi di marmo di 1a, 2a e 3a scelta.

Nel bacino marmifero, nel corso degli anni, si è registrato un andamento prima crescente e poi decrescente del peso del comparto in termini di imprese, di unità locali e di addetti.

A questo calo, però, non ha corrisposto una simmetrica contrazione del volume di materiale lapideo estratto, che è anzi cresciuto passando dai circa 70.000 mc del 1965, periodo di massima espansione della base produttiva e occupazionale nel comparto, agli attuali 90.000 mc circa. D’altronde l’incremento della produzione negli ultimi cinque anni è stato ancora più ragguardevole facendo riscontrare tassi medi di espansione della produzione superiori al 20% con punte massime del 30%, ciò dovuto anche dal fatto che le aziende di trasformazione tranesi hanno lavorato solo con la Pietra di Apricena visto il drastico e quasi totale calo dell’attività di estrazione dopo l’istituzione del parco della Murgia.

La crescita e lo sviluppo del comparto della lavorazione della pietra avviene negli anni 70, in quegli anni, alla perdita di posti di lavoro nel settore dell’escavazione, che si ammoderna ed evolve, si associa la creazione del nuovo comparto di Filiera che ne assorbe la manodopera espulsa dalle cave.

Le tecniche utilizzate nel comparto della lavorazione restano sostanzialmente le stesse di trenta anni addietro, con le medesime segherie allora realizzate e non si riesce ad ampliare la gamma delle produzioni né ad effettuare un vero salto qualitativo salvo poche eccezioni. I tipi di lavorazione sono quelli più semplici, che presuppongono essenzialmente il taglio e la levigatura della pietra. E’ abbastanza significativo che per una delle opere di culto più grandi che si sono realizzate in Europa, la nuova chiesa di San Giovanni Rotondo, in cui l’elemento ornamentale principale è costituito proprio dalla pietra estratta nelle cave di Apricena, si sia dovuto ricorrere per le lavorazioni più complesse e impegnative a imprese del polo di Massa Carrara.

Le competenze tecniche e le abilità della manodopera restano limitate a quelle che richiedono minore specializzazione salvo la eccezionale esperienza dei vecchi capi-cava, oggi però portata all’esaurimento.

La formazione avviene essenzialmente in azienda attraverso la pratica. Ne consegue che le conoscenze trasmesse tendono a seguire un predeterminato percorso formativo, legato a uno specifico bagaglio di competenze e ad una già definita traiettoria tecnologica e produttiva, che non consente di allargare la possibile gamma di produzioni senza un deciso intervento esterno.

Questo fenomeno diventa l’alibi per qualche azienda di utilizzare Lavoratori Pensionati nei cicli produttivi.

L’assenza di una seria politica di formazione, (peraltro forte nei comparti lapidei di altre Regioni) e di individuazione di nuove figure professionali, nelle segherie e nelle cave diventerà a breve un cappio al collo per la crescita o il rafforzamento del Comparto nelle competizioni nazionali ed estere.

Inoltre molto debole risulta la capacità innovativa del settore, le innovazioni più importanti ai fini della crescita e della competitività hanno inciso quasi esclusivamente sul processo produttivo che non sulle caratteristiche del prodotto, avendo forti riflessi sui livelli occupazionali.

Ad oggi ci risulta occupati nel settore lapideo, nella Provincia di Foggia, complessivamente circa un migliaio di lavoratori, la cui maggior parte è concentrata nel bacino marmifero di Apricena. Anche questo settore, proprio per i crescenti livelli produttivi paradossalmente fa registrare un alto tasso di lavoro nero, utilizzando in modo particolare lavoratori extracomunitari, senza la minima formazione professionale ricattabili in quanto clandestini, senza alcuna garanzia di sicurezza, senza legalità. E’ una emergenza che è bene capire e individuare al più presto possibile, nell’interesse dello sviluppo del settore.

Attualmente, di fatto, operano pochi gruppi imprenditoriali che controllano un certo numero di imprese, che conservano formalmente una loro distinta personalità giuridica. Alcuni di questi gruppi, sotto il profilo occupazionale, raggiungono livelli ragguardevoli, impiegando in genere oltre i 30 addetti e in alcuni casi superando anche le 50 e le 100 unità lavorative. Il fenomeno della frammentazione del gruppo in più imprese con diversa ragione sociale qualcuno lo giustifica con la necessità sia di avere maggiore flessibilità organizzativa sia di evitare l’applicazione di normative più restrittive in tema di tutela del lavoro, sia per ragioni di carattere fiscale. Da un altro lato, è il retaggio della specifica evoluzione subita dal sistema produttivo del comprensorio di Apricena.

In generale, comunque, la natura giuridica dell’imprese, in base ai dati ISTAT 2001, è ancora prevalentemente di carattere individuale, 54% sul totale delle imprese. Vi sono solo 2 imprese cooperative e 1 solo consorzio di piccoli artigiani il CONPIETRA, ancorato però quasi esclusivamente allo smaltimento della marmettola e non già alla promozione della Pietra

Si riscontra, pertanto, una forte correlazione tra la dimensione aziendale, il livello tecnologico e il limitatissimo tasso di capitalizzazione dell’impresa; la traiettoria seguita risulta essere essenzialmente tesa alla riduzione dei costi, e non alla qualificazione tecnologica.

Per quanto riguarda gli aspetti ambientali negli ultimi tempi si vanno sempre più ponendo all’attenzione dell’opinione pubblica i problemi legati al dissesto che le attività estrattive determinano sugli equilibri ambientali ed ecologici.

Noi crediamo che questi segnali non vadano rimossi e nemmeno enfatizzati, ma assunti nella giusta dimensione, per instaurare un giusto rapporto tra “occupazione e produzione del reddito” e “ la presa di coscienza che il territorio è un bene che appartiene a tutti”.

Se non faremo ciò diventeranno sempre più forti le ipotesi semplicistiche e drastiche al tempo stesso, di chi vorrebbe la chiusura indiscriminata di cave.

Ma per andare nella direzione di uno sviluppo sostenibile si deve riconoscere che l’attuale modello di sviluppo ha provocato numerosi guasti che possono essere così sintetizzati:

1.      Se il territorio è una risorsa, dobbiamo riconoscere che abbiamo assistito ad un consumo di questa risorsa oltre ogni misura. Tale problema è maggiormente accentuato dall’assenza di una politica di risanamento ambientale delle aree e dai numerosi casi di estrazione selvaggia favorita da una legislazione regionale superficiale oltre che obsoleta e dannosa per il settore estrattivo. Le cave abbandonate in Puglia sono migliaia e di queste moltissime sono ubicate nella provincia di Foggia.

2.      L’impatto visivo sul paesaggio e l’inquinamento morfologico determinato dall’escavazione è evidente. Questo è l’aspetto che più colpisce l’opinione pubblica, e per la Puglia ciò assume maggiore rilievo in quanto contrasta con gli interessi turistici della nostra regione che hanno proprio nel Gargano e nel Salento due punti pregevoli di bellezza turistica. Un impatto visivo determinato nel bacino marmifero di Apricena anche dall’enorme massa del prodotto non di qualità che assieme al cappellaccio costituiscono gli scarti di lavorazione e le colline di detriti vecchi di oltre 40 anni che costellano la A14.

3.      Non irrilevanti sono i problemi di sicurezza determinati dal caotico sviluppo delle attività di escavazione e da una approssimata organizzazione del lavoro dell’imprese e di raccordo tra cava e cava. In particolare sono ormai evidenti la precaria stabilità delle grandi discariche che incombono sulle sottostanti vie di comunicazione; vi è un forte congestionamento di intere zone, qualche crinale è crollato su una provinciale con le ultime piogge a causa dell’interferenza delle operazioni di discarica con quelle di coltivazione.

Nostro malgrado, inoltre, siamo costretti a prendere atto che dopo la firma del contratto integrativo provinciale del settore lapideo, continuano ad essere disattese le aspettative delle norme vigenti in materia di prevenzione e sicurezza. All’investimento tecnologico realizzato, sia per le attività estrattive che per la lavorazione, che ha sicuramente  aumentato i ritmi delle fasi lavorative, non è seguito un adeguato e parallelo investimento in prevenzione e sicurezza.

Ora, se quanto detto è il quadro generale del settore dell’attività estrattive in Puglia risulta evidente che occorre muoversi rapidamente per una politica in grado di affrontare i nodi strutturali del settore.

Ciò richiede il superamento dei ritardi del Governo Regionale sul terreno della legislazione, della programmazione e dell’assetto del territorio.

Preso atto che, la difficoltà di gestire la ridefinizione dei criteri produttivi, delle logiche di impresa e dei processi di gestione e coordinamento del territorio e delle sue risorse su scala nazionale, è stata causa, sino ad oggi, dell’incapacità di produrre una legge quadro nazionale che fissi dei riferimenti programmatici chiari per le regioni e per gli enti locali per la gestione del patrimonio giacimentologico, diventa indispensabile avere un quadro legislativo regionale che dia certezze per il settore dell’attività estrattive al fine di permettere alle Imprese ed ai lavoratori di poter programmare il loro futuro.

In Puglia oggi queste certezze non ci sono, anzi c’è un caos legislativo, di non integrazione tra i vari provvedimenti quali la legge regionale n.°37 del 1985 “Norme per la disciplina delle attività delle cave”, con “il Piano Urbanistico Territoriale Tematico per il paesaggio”, meglio conosciuto PUTT, e con la legge regionale n.°11/2001 che disciplina le procedure di valutazione di impatto ambientale.

Inoltre l’ultimo provvedimento dell’attuale giunta Regionale, la legge n.21/2004, secondo noi è solo l’ennesimo atto burocratico che contribuisce ad aumentare il caos esistente.

Un caos che rischia di bloccare totalmente il settore dell’attività estrattive.

Come FILLEA CGIL riteniamo che sia giunto il momento di avere una nuova legge Regionale, che sia di raccordo con le nuove normative esistenti, che abbia come finalità:

1.            Introdurre il concetto di Polo Estrattivo e di Lavorazione, inteso come organizzazione di più imprese in un’area specifica, che estrae e lavora materiali di provata qualità e con dimensioni tali da permettere l’elaborazione di progetti mirati e specifici.

2.            Disciplinare l’attività estrattiva di materiali di cava e torbiera, nonché la programmazione dell’attività stessa per il soddisfacimento del fabbisogno regionale, in armonia con gli indirizzi della programmazione socio-economica, ambientale, paesaggistica e territoriale;

3.            Privilegiare l’ampliamento dell’attività estrattive in corso, con criteri di razionalizzazione dello sfruttamento del giacimento, evitando sprechi e sottoutilizzo di risorse minerarie, per contenere il prelievo delle risorse rinnovabili;

4.            Favorire il recupero ambientale delle aree di escavazione dismesse, per salvaguardare la morfologia del territorio, della vegetazione e per attenuare la visibilità paesaggistica dell’attività estrattiva;

5.            Incentivare la ricerca e la sperimentazione di materiali alternativi nonché il riutilizzo dei materiali derivanti da demolizioni, restauri, ristrutturazioni, sbancamenti e drenaggi, privilegiando i siti estrattivi che svolgono anche attività di riutilizzo dei suddetti materiali.

 Una legge regionale, quindi, che abbia come obbiettivi primari:

1.              La tutela e la sicurezza del lavoro;

2.              Lo sviluppo dell’occupazione, nel rispetto dell’attività economiche preesistenti;

3.              La qualificazione produttiva e l’innovazione tecnologica del settore e delle imprese;

4.              La semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa.

Su quest’ultimo punto, infatti, riteniamo che uno dei problemi della legge 37/85 è che abbia in sé una visione centralistica, sovraccaricando la Regione di compiti gestionali che non potrà mai svolgere in modo adeguato. Non è previsto un minimo di articolazione di ruoli e compiti tra i vari soggetti istituzionali, non è prevista come in altre Regioni, alcuna delega alle Province.

Noi riteniamo, al fine di raccordare le specifiche esigenze di pianificazione del territorio, e acquisito il parere della Commissione regionale, che le autorizzazioni per l’attività di coltivazione e/o eventuale ampliamento debbano essere date dal Comune del territorio interessato. Il quale comunque dovrà svolgere la sua azione conformemente a quanto dovrebbe essere previsto dal Piano Regionale delle Attività Estrattive (PRAE).

Ad oggi, però, in Puglia non esiste nemmeno un PRAE.

La Regione, infatti, avrebbe dovuto adottare un PRAE, strumento fondamentale per disciplinare lo svolgimento nel territorio regionale dell’attività estrattiva, con l’obiettivo di far coesistere la corretta utilizzazione della risorsa mineraria, dal punto di vista tecnico-economico, con la tutela dell’ambiente e la fruizione ottimale delle altre possibili risorse del territorio. La mancanza di uno strumento di programmazione come il PRAE sta creando non poche difficoltà al settore estrattivo in Puglia e in particolar modo in Capitanata. Aumentano per l’imprese le difficoltà nel rilascio delle autorizzazione relative alle coltivazioni delle cave. Abbiamo già registrato la cessazione di un’attività per la mancanza di autorizzazioni nonostante che regolarmente erano state richieste nei termini previsti.

Che fare?

Noi riteniamo che la nuova legge deve mettere in condizioni la Provincia di Foggia ed i Comuni interessati, con la partecipazione dell’Università e delle Imprese associate, a predisporre ed inoltrare alla Giunta Regionale, schemi di piano stralcio del PRAE. Per noi questa può essere la soluzione temporanea, che nelle more dell’approvazione del PRAE, permetterebbe alle imprese di poter continuare ad estrarre e salvaguardare i posti di lavoro.

In conclusione possiamo affermare che lo sfruttamento del territorio, attraverso una precisa politica di programmazione, costituisce una fonte di sviluppo e di progresso economico per la Puglia, ma è necessario:

1.              Assumere la tutela dell’ambiente come vincolo non meno importante della tutela dell’occupazione;

2.              Che il diritto alla salute e alla sicurezza dei lavoratori sia assunto come un valore ed una risorsa non solo del Sindacato, ma anche dagli Imprenditori;

3.              Che il tavolo di concertazione, nato qualche mese fa, dove erano presenti tutti i soggetti interessati, Provincia, Comune di Apricena, Lesina e Poggio Imperiale, Associazione degli Industriali, Confapi e Rappresentati dei lavoratori, continui ad operare, non ci sono scorciatoie alla concertazione. I problemi del settore possono trovare soluzioni solo se c’è una visione collegiale.

4.              Che si arrivi quanto prima ad una modifica della legge Regionale;

Oggi abbiamo esposto una nostra analisi e fatto una nostra proposta, lo spirito con cui l’abbiamo fatta è quello di sollecitare un dibattito e un confronto su un tema estremamente difficile come quello dell’attività estrattiva, sicuramente l’obiettivo finale, che ci accomuna, è il risanamento e lo sviluppo del settore.

 

 

Foggia 13 marzo 2005

 

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